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Amate e rispettate la donna, femminismo mazziniano e parità di genere

Giuseppe Mazzini ha sempre dimostrato un profondo rispetto e un sostegno per la causa delle donne. Diceva infatti il maestro rivolgendosi agli uomini: “Amate e rispettate la donna. Non cercate solamente in essa un conforto ma una forza e un’ispirazione, un raddoppiamento delle vostre facoltà morali e ideali. Cancellate ogni forma di superiorità”. Di questo  e altro ancora si è discusso nei giorni scorsi nella sede dell’associazione Minelliana in occasione della presentazione del libro: “Femminismo mazziniano – un’idea di emancipazione nell’Italia post unitaria (1868-1888)” a cura di Liviana Gazzetta (Tab edizioni). Ad introdurre la serata, Carlo Cavriani, presidente dell’associazione Minelliana, Luigi Contegiacomo del comitato di Rovigo dell’Istituto per la storia del Risorgimento e Maria Lodovica Mutterle, direttivo dell’associazione Minelliana. Fra i numerosi  presenti, l’assessore comunale alla cultura Benedetta Bagatin, la consigliere provinciale Asia Trambaioli e la presidente del comitato pari opportunità del Comune di Rovigo, Daniela Guagliumi. Oggi si parla molto di parità giuridica e il femminismo diventa attivo a cavallo tra ‘700 e ‘800 in parecchi Paesi, ma non in Italia. Qui la questione femminile scoppierà più tardi, attraverso il romanticismo carbonaro del Risorgimento, tra le donne aristocratiche, mogli, figlie, sorelle di politici ed eroi: Teresa Confalonieri, Giorgina Saffi, Cristina Belgioioso. Il primo passo dunque è la richiesta di voto. Sarà una lunga e ardua battaglia, che prende le mosse in America. In Italia il suffragio femminile viene proposto da un certo on. Morelli verso il 1870, non viene naturalmente approvato e fa commentare a Mazzini come sia «negletta» la condizione della donna. La prima teorica femminista è una borghese milanese, Anna Maria Mozzoni, che nel suo primo saggio (1864), «La donna e i suoi rapporti sociali», si rifà a Fourier e a Stuart Mill contro il potere patriarcale e autoritario della famiglia. La Mozzoni si pronuncia per il lavoro extradomestico, si dichiara profondamente antimilitarista ed è vicina al partito socialista dove spesso polemizza con Anna Kuliscioff, più strettamente marxista nel trattare la questione femminile. Tra il 1871 e il 1888 il suffragio femminile viene portato varie volte in Parlamento, ma è la condizione delle lavoratrici che interessa soprattutto la femminista che organizza anche le prime Leghe di lavoro. Infatti l’Italia si va rapidamente industrializzando e alla fine dell’800 le operaie tessili sono più di un milione e mezzo. Super sfruttate, non si fermano nella protesta di fronte a sommosse e scioperi, particolarmente intensi tra l’80 e il ’90 anche tra le mondine. Va detto che anche in Italia due sono i filoni o le correnti del movimento di emancipazione femminile: riecheggiano le stesse polemiche della Germania e della Russia (Zetkin, Luxemburg, Lenin, Kollontaj, ecc.). Da una parte la questione femminile è solo economica, il lavoro serve a emancipare la donna che quando basterà a se stessa, cambierà anche nei rapporti con l’altro sesso, sarà libera (tesi di Anna Kuliscioff). Per Anna Maria Mozzoni, la lotta è contro lo sfruttamento di classe e contro gli atteggiamenti autoritari maschili, denunciando così anche le contraddizioni all’interno del suo partito, il socialista. Le battaglie e le polemiche femminili trovano spazio anche sulla stampa, mentre nascono le prime associazioni: Associazione nazionale per la donna (Roma 1897); Unione femminile nazionale (Milano 1899); Consiglio nazionale donne italiane (1903).  Il volume di Liviana Gazzetta è uno strumento utile per la conoscenza della riflessione prodotta dai movimenti delle donne a partire proprio dalle esponenti più direttamente influenzate dal mazzinianesimo o che da esso ne trassero ispirazione.

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