E’ una proposta democratica, progressista e sociale quella di cui ha necessità il Veneto, nelle prossime elezioni politiche del settembre 2022. Una proposta che caratterizzi il campo del centrosinistra, e che prenda atto della necessità di un cambio del modello sociale ed economico di una delle principali economie del paese. In un tempo radicalmente nuovo come quello in cui stiamo vivendo, è necessario rimettere al centro di ogni politica i beni comuni fondamentali: salute, ambiente, lavoro. Questi temi costituiscono il contributo che Articolo Uno pone alla lista dei democratici e progressisti in Veneto.
Salute. Il covid-19 ha costituito un’esperienza in cui il sistema socio sanitario regionale è stato duramente messo alla prova, a partire dalle lavoratrici e dai lavoratori che in esso sono impiegati. Una volta per tutte, è emersa la straordinaria importanza dei servizi territoriali e, soprattutto, dell’integrazione socio sanitaria. Dobbiamo ripartire da questa consapevolezza, perché i prossimi anni va condotta a termine una riforma radicale della sanità territoriale, a partire dall’introduzione dei modelli organizzativi del DM71 adottato dal ministro Roberto Speranza, a partire dalla realizzazione delle case della comunità e delle strutture intermedie, superando l’impostazione rigida e burocratica che ne ha dato la Regione del Veneto nella loro individuazione.
Va aperto il confronto con le Conferenze dei sindaci e i soggetti sociali per un piano di riforma della sanità territoriale, ed è pertanto necessario, a livello nazionale, graduare l’erogazione delle importanti risorse che il PNRR rende disponibili alla realizzazione di un vero e proprio dibattito pubblico sulla sanità veneta e sul suo modello organizzativo, superando definitivamente il centralismo regionale. Occorre intervenire anche a livello normativo per dare ruolo alle stesse conferenze dei sindaci, che la Regione ha ridotto a mera funzione notarile, e che possono essere il vero luogo della costruzione dal baso delle risposte ai bisogni di salute della popolazione.
Vanno incrementati i servizi di assistenza e cura per gli anziani e per la non autosufficienza, incentrando l’intero modello di cura sulla domiciliarità e sulla creazione di centri servizi gestiti dal pubblico in grado di offrire un’adeguata, con una forte relazione con i distretti socio sanitari e le case della salute.
L’altro ambito su cui impegnarsi è l’incremento del personale medico e infermieristico delle strutture pubbliche regionali: oggi moltissimi professionisti sovra caricati dai ritmi di lavoro degli ospedali pubblici sono indotti a transitare nelle strutture private, dove trovano migliori condizioni di lavoro e retributive. Questa situazione è del tutto inaccettabile, per cui vanno tolti tutti i colli di bottiglia che in questo momento limitano la formazione di chi lavora in sanità, a partire dal numero chiuso alle università fino alle borse di specializzazione per i neo laureati. Medesima attenzione nel campo del personale va esercitata per i medici di medicina generale, che conoscono un drammatico fenomeno di invecchiamento e pensionamento, tanto che nel giro di pochi anni oltre un milione di cittadini veneti (il 25% dell’intera popolazione) potrebbero trovarsi senza il proprio medico di base.
Infine, dobbiamo denunciare il lento ma costante processo di privatizzazione cui la sanità veneta sta andando incontro: ricorrere all’affidamento a privati per lo smaltimento delle liste d’attesa delle prestazioni non erogate durante l’emergenza pandemica anziché irrobustire le strutture pubbliche è solo uno dei passaggi di questa strisciante privatizzazione, cui si aggiunge l’esternalizzazione di interi servizi che molte ULSS stanno operando.
Ambiente. Il Veneto, il cui paesaggio e il cui territorio costituiscono un unicum straordinario, vive ormai da molti decenni un gravissimo processo di depauperamento ambientale. Secondo i dati ISPRA, anche nel 2022 in questa regione il tasso di consumo di territorio è il più elevato in Italia.
Se è vero, come sostengono nella loro lettera appello gli scienziati italiani, che la questione climatica deve essere in cima all’agenda politica del paese, questa affermazione è ancor più fondata se si guarda al Veneto.
A questa drammatica realtà si aggiunge il grave stato di inquinamento dei sotto e dei soprasuoli: di pochi giorni fa la notizia che la falda acquifera di Almisano, la seconda in Europa per dimensioni, è inutilizzabile a causa dell’inquinamento da PFAS. Questa inoltre è la regione in cui i processi del cambiamento climatico stanno letteralmente modificando la connotazione del territorio, se pensiamo alla tempesta VAIA, all’acqua granda del novembre 2019, al tragico crollo del ghiacciaio della Marmolada poche settimane fa.
Infine, secondo i dati della Banca d’Italia, un quarto delle imprese venete è collocato in territori potenzialmente compromessi nei prossimi anni dai processi di cambiamento climatico, con conseguenze facilmente intuibili. Di fronte ad un quadro talmente complesso, è necessario un insieme di misure a più livelli, e soprattutto una capacità di programmazione e regolazione che l’istituzione regionale non è stata in grado di assicurare fin qui. E’ necessario prima di tutto lavorare per il progressivo disinquinamento dei sopra e sotto suoli, a partire dalle bonifiche dei siti produttivi dismessi o in via di riconversione, ma vanno pure messe in atto strategie adattative alle conseguenze dei cambiamenti climatici, come per esempio la ridefinizione delle strutture urbane nelle città.
Tanto nelle città quanto nelle aree agricole vanno inoltre programmati massicci interventi di creazione di boschi e foreste urbane, e creati bacini per accumulare le acque per i periodi siccitosi. Per quanto riguarda le politiche di settore, è chiaro che un investimento sul potenziamento, ammodernamento e integrazione del trasporto pubblico locale rappresenta una leva indispensabile in direzione della neutralità carbonica, per cui vanno superate attuali asimmetrie delle reti del trasporto pubblico, in specie lavorando sull’integrazione ferro-gomma e sulla interoperabilità dei diversi vettori.
Il Veneto ha al suo interno due straordinari e delicatissimi sistemi ambientali: quello della montagna e quello della laguna e delle aree umide: serve un piano per la cura degli ecosistemi montani e delle comunità umane che continuano a vivere ed operare in essi, modificando radicalmente l’approccio solo in chiave turistica fin qui perpetuato. Analogamente, va costruito d’intesa tra le autonomie locali e lo Stato un disegno organico per il disinquinamento del bacino lagunare e per preservare lo stesso da ulteriori interventi ad altissimo impatto.
Da ultimo, è necessario sul piano della transizione ecologica predisporre politiche industriali per accompagnare e riconvertire le filiere produttive che saranno interessate ad esempio dalla dismissione dei motori endotermici (nel 2035 secondo la decisione UE) e che sono particolarmente presenti nel territorio regionale, in particolare nella componentistica dell’automotive in qualità di fornitori e sub fornitori delle catene tedesche. In questo senso, anche il Veneto deve esercitare un ruolo forte nella strategia per il progressivo abbandono dei carburanti fossili, incentivando le fonti alternative (ad esempio convertendo a campi fotovoltaici le aree produttive dismesse e i capannoni).
Lavoro. In Veneto, l’83% dei lavoratori ha un contratto precario oppure a tempo determinato, con un profondo cambiamento della struttura del lavoro, che ha portato una diminuzione di 55.000 unità nella manifattura, ed un incremento di 130.000 unità nel turismo. Una delle principali economie del paese si regge sostanzialmente sul precariato. Di più, il Veneto è, tra le Regioni del Nord, quella che conosce il maggior esodo di giovani attratti non solo dalle opportunità offerte da altri paesi, ma finanche dalle regioni vicine, in particolare da Emilia Romagna e Lombardia.
La strada maestra per invertire la rotta è quella di intervenire, a livello legislativo, con una legge sulla rappresentanza sui luoghi di lavoro, che sfrondi definitivamente la giungla dei contratti pirata e innalzi il livello delle tutele. Va inoltre aperta una nuova stagione di rinnovi contrattuali, se pensiamo che nel nostro paese oggi più del 50% dei lavoratori si trova in una condizione di contratto di lavoro scaduto, e molta parte dei contratti scaduti sono proprio quelli dei servizi, che oggi caratterizzano, si pensi solo al turismo, la maggior parte dell’economia veneta. Insieme alle garanzie di contratti rinnovati e rinforzati nelle tutele, va inoltre introdotta, sempre per via legislativa, la misura del salario minimo, invero presente nelle principali economie mature dell’occidente, come garanzia minima al di sotto della quale non è possibile scendere.
Occorre essere più coraggiosi, perché il coraggio contraddistingue ogni riformismo credibile, e perché già abbiamo esperienze cui guardare che possono contrastare la precarietà e la riduzione dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, come la recente riforma del lavoro del governo Sanchez in Spagna oppure lo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori proposto dalla CGIL.
Un altro dato di realtà dobbiamo avere chiaro, e riguarda il decremento demografico, che oggi riguarda le dinamiche produttive, ma presto influenzerà il sistema pensionistico. Infatti, già oggi in Veneto molta parte delle filiere produttive, a partire da quella manifatturiere, non si reggerebbero senza la presenza di lavoratori e lavoratrici stranieri, cosa che rende ancor più necessaria l’adozione una volta per tutte di un provvedimento la cittadinanza italiana, come lo Jus scholae.
Ancora nel 2022 il Veneto è segnato dallo scandalo delle morti sui luoghi di lavoro. Nei primi 5 mesi dell’anno la nostra regione è seconda, dopo la Lombardia, in questa tragica graduatoria che vede mediamente morire una persona ogni 6 giorni, al netto degli infortuni gravi e lievi. Anche in questo ambito la Regione veneto ha lasciato inerte il protocollo d’intesa con le forze sociali e d’impresa, che prevedeva l’incremento del personale dedicato alle funzioni ispettive e di vigilanza. E’ necessario investire molto di più sulla cultura della sicurezza, tanto sul profilo della prevenzione quanto su quello della vigilanza e delle sanzioni, prevedendo l’utilizzo dei fondi del PNRR come pure il commissariamento delle regioni inadempienti.
Diritto alla casa. Il Veneto ha sempre visto una maggiore propensione all’acquisto piuttosto che all’affitto. Già da tempo, però, con la precarizzazione del mercato del lavoro e le mutate esigenze personali cresce il numero delle persone per le quali acquistare l’immobile non è conveniente o sostenibile. La crisi sociale ed economica si è innestata in un territorio in cui falsi miti e reali limiti all’applicabilità delle leggi non incoraggiano l’affitto, e ora anche chi possiede un contratto di lavoro a tempo indeterminato fatica a trovare abitazioni a prezzi congrui e in buono stato manutentivo. Se gli affitti commerciali hanno ancora un loro mercato, la legislazione per questi non prevede alcun limite alle richieste o agevolazione, tanto che alcune attività si trovano strangolate dagli aumenti ISTAT, dai debiti contratti con i locatori, dai canoni variabili. Vi sono poi persone per le quali il libero mercato non è sostenibile: pensioni basse, invalidità, infortuni gravi, assenza di reti familiari e assistenza, lavoro discontinuo e mal retribuito… A queste persone dovrebbe essere garantita una casa popolare ma, per quanto alto il punteggio, le assegnazioni sono poche. Eppure di immobili sfitti, abbandonati o bloccati in un eterno conflitto legale la nostra regione è piena.
Serve aumentare l’offerta pubblica sia in canone agevolato, in modo da poter calmierare il mercato, sia di case popolari, attraverso fondi per la ristrutturazione e nuove acquisizioni. Serve dare strumenti e formazione ai comuni per poter agire prima che le situazioni di morosità e insalubrità diventino insanabili e gli sfratti esecutivi. Le agevolazioni per chi affitta devono essere date a fronte di leggi e controlli certi, per premiare quei locatori che davvero ne hanno diritto. Serve rimettere mano alle locazioni commerciali, limitando per legge gli aumenti annuali richiedibili o ipotizzando di estendere agevolazioni previa attestazione anche in questo settore – perlomeno per i piccoli proprietari che intendano venire incontro alle attività in difficoltà.
Il sistema istituzionale. Uno dei punti programmatici della destra sarà il pericoloso scambio tra presidenzialismo e autonomia in salsa leghista, un combinato che avrebbe come unica conseguenza la lacerazione del tessuto nazionale. È venuto il tempo di richiamare il senso originario dell’impianto federalista, che prevedeva un ruolo forte delle autonomie locali all’interno di un tessuto cooperativo e solidale con forti garanzie statali. Conto il burocratismo regionale, dobbiamo ripartire dalle città e dai territori.
La proposta dei democratici e progressisti deve partire dal riconoscimento dei livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni sociali, che vanno garantiti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, insieme a meccanismi di perequazione e di definizione dei fabbisogni standard, abbandonando la spesa storica come unico criterio per l’allocazione delle risorse. Contemporaneamente, va reimpostata l’architettura delle Autonomie locali, con ampie possibilità di autonomia amministrativa, prevedendo un piano straordinario di assunzione di personale per la messa a terra degli interventi del PNRR e, soprattutto, per garantire in termini di spesa corrente la fase successi agli investimenti del NGEU.
In questo senso, è necessario riconsegnare alle Regioni il ruolo originario previsto dalla Costituzione, di Enti di regolazione e programmazione dello sviluppo, dando ruolo agli enti intermedi (Città metropolitane e provincie) con il superamento della legge Del Rio, che ha causato, tra i propri effetti perversi, il fatto che organismi non eletti direttamente dai cittadini siano comunque enti beneficiari del prelievo fiscale, nei casi dell’IPT e dell’imposta di registro.