L’Arci non fa silenzio. È dalla parte di chi rifiuta di confinare il dolore cocente per la violenza maschile contro le donne al solo piano “privato”, relazionale. Bene hanno fatto ragazzi e ragazze a disubbidire al rituale silenzio proposto dal ministro Valditara e gridare la loro condanna dei carnefici e della società che li alleva.
Tutta l’Arci è sconvolta per la mostruosità dei femminicidi e delle guerre dove il corpo delle donne è usato come “campo di battaglia” o “bottino di guerra”, ma sceglie di trasformare dolore e rabbia in azione. All’orrore rispondiamo, ogni giorno, in ogni circolo, laboratorio di una società differente, con l’attivismo, l’impegno culturale e politico pacifista, femminista, transfemminista.
In Italia nel 2023, sono state oltre cento le vittime del patriarcato assassino, epilogo terribile delle discriminazioni, delle molestie, delle violenze di genere.
I femminicidi sono un’emergenza. Ed è un’emergenza anche il linguaggio d’odio che si riversa ogni giorno sulle donne e sulle persone Lgbtqi+.
Si inizia dalle parole, poi si arriva alle discriminazioni (1 milione 404 mila sono le donne che hanno subito molestie sul luogo di lavoro), alle violenze e perfino alle uccisioni.
E poi c’è la guerra. La guerra che non ci dà pace. Devasta vite, ambiente, democrazia, diritti. È l’espressione estrema del patriarcato, agito da uomini violenti che vogliono affermare il proprio potere, controllare e appropriarsi dell’ambiente, dominare la natura, i popoli e soprattutto le donne.
“Il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, l’attenzione – sottolinea Celeste Grossi, delegata nazionale Arci Politiche di genere – è rivolta alla violenza di genere agita all’interno del rapporto uomo-donna. Questo approccio non può oscurare, occultandola, la rilevanza sociale e politica, connessa alla violazione dei diritti umani delle donne. Come se non ci fossero responsabilità delle istituzioni nella scarsa prevenzione (nella proposta di Legge finanziaria si prospetta addirittura un taglio di fondi ai Centri antiviolenza e di agire a posteriori con pene invece di prevenire il fenomeno), nel divario salariale, nell’assenza di un reddito di autodeterminazione, che consenta alle donne di allontanarsi dai loro carnefici, nella disattenzione alla salute di genere, nella scelta di destinare a spese militari fondi che andrebbero usati per il sociale, nella perdita di diritti che ci illudevamo di aver conquistato per sempre”.
Il 25 novembre e tutti i giorni dell’anno lottiamo perché il corpo delle donne sia il primo territorio di pace e di libertà, perché stupro e violenza sessuale non siano mai più armi per l’affermazione del potere maschile sui corpi e sulle menti delle donne.
La rivoluzione è la cura per la società violenta e degenerata.