In memoria del fondatore di Emergency Gino Strada, scomparso lo scorso 13 agosto, proponiamo la sua “Lettera da un chirurgo di guerra”Cari ragazzi, voglio raccontarvi il mio lavoro. Io sono un chirurgo di guerra: “E che vuol dire ‘chirurgo di guerra’ ?” è la domanda che mi farete voi. Allora devo spiegarvi che faccio sì il chirurgo, ma che non sono un militare. Il mio mestiere può sembrarvi strano; ma parlando di quello che succede in giro per il mondo, forse riesco a farvi capire che non è poi un lavoro così strampalato, che serve a qualcosa, vista la gran quantità di guerre che colpiscono il pianeta e la gran quantità di persone che ci vanno di mezzo.
Da bambino la guerra l’ho conosciuta solo dai racconti di mio padre. Noi bambini avevamo della guerra un’idea molto più “giusta” di quella degli adulti. Ci nascondevamo tra le siepi, indiani e cowboys, e ci affrontavamo in grandi battaglie; ogni tanto qualche finto ferito, prima di tornare a casa a fare merenda, ma nessuno si faceva male. Com’era bella la nostra guerra! Quella vera, invece, non ci piaceva: era troppo brutta per i nostri giochi.
Mio padre mi raccontò anche di una scuola con tanti bambini dentro, nel quartiere di Gorla, a Milano. Fu colpita da una bomba lanciata da un aereo: morirono in 194, quei bambini con i loro insegnanti. Perché? Non c’erano combattenti tra loro, perché bombardarli?
Qualche anno dopo ho saputo che, nella seconda guerra mondiale, erano morte soprattutto persone che non combattevano, cioè i civili: il sessantacinque per cento delle vittime. Come i bambini di Gorla, o le donne in fila per il pane, o gli operai come mio padre che andavano in bicicletta al lavoro.
Qualche anno più tardi, nuove immagini: la guerra nel Vietnam. Al telegiornale annunciavano che un villaggio era stato distrutto da un attacco aereo…ma chi c’era in quei villaggi?
Poi la guerra l’ho vista davvero, e da vicino, facendo il mio mestiere di chirurgo. È strano, ma all’inizio mi sono ancora sorpreso. Era la prima volta che mi trovavo tra i feriti della guerra in Afghanistan: avevo immaginato di trovarmi in faccia a combattenti con la benda insanguinata sul capo, invece mi sono trovato a operare centinaia di donne e di bambini, di vecchi magri con la barba piena di polvere… Allora ho cominciato a raccogliere i dati sui pazienti operati nei nostri ospedali: il novantatre per cento erano civili, il trentaquattro per cento bambini.
Non è stato diverso nelle altre guerre che ho visto in seguito: gente dalla pelle nera o dagli occhi a mandorla, tanti turbanti, tante guerre combattute per differenti ragioni in varie parti del mondo…ma sempre e ovunque la stessa terribile realtà.
Nei Paesi in guerra spesso non ci sono medici né medicine e il poco disponibile è riservato ai militari, ai combattenti. E i bambini, i vecchi, le donne, tutti coloro che non combattono, che la guerra non l’hanno scelta? Dove finisce il loro diritto ad essere curati?
Quel che facciamo per loro, noi e altri, quel che possiamo fare con le nostre forze, è forse meno di una gocciolina nell’oceano. Ma resto dell’idea che è meglio che ci sia, quella gocciolina, perché se non ci fosse sarebbe peggio per tutti. Tutto qui. E’ un lavoro faticoso, quello del chirurgo di guerra. Ma è anche, per me, un grande onore.
Gino Strada