«Se a vent’anni dalla sua istituzione il Giorno del Ricordo fa ancora discutere, vuol dire che, con la necessità di rimuovere la cortina di silenzio pesata fino ad allora sull’esodo istriano, il legislatore colse la complessità di questa pagina di storia. Lo conferma l’iter della legge 92, segnato da numerose revisioni fino all’approvazione in Senato, nel marzo 2004, avvenuta con una larghissima maggioranza. Quella scelta diede un forte impulso alla ricerca storica che in questi vent’anni si è arricchita di documenti, testimonianze e ritrovamenti, da una parte e dall’altra di quel confine orientale che costò tanto sangue e sofferenza. Un confine che in questi stessi anni si è aperto all’Europa. Un simbolo di questa apertura è la caduta del muro tra Gorizia e Nova Gorica, designate insieme capitale europea della cultura 2025, per riaffermare la ricchezza di un territorio, forgiato proprio dalle sue differenze.
Il cammino di pace che abbiamo costruito dal 10 febbraio 1947 ci permette di ricordare quel muro e le sofferenze degli istriani, fiumani e dalmati senza farne motivo di odio e di divisione. La memoria non si potrà mai condividere, ma memorie diverse si possono reciprocamente rispettare, superando vecchie contrapposizioni che non hanno ragione di esistere, come quella tra le tre etnie autoctone istriane o tra il giorno del Ricordo e i valori della Resistenza, perché tra le vittime della repressione jugoslava vi furono anche esponenti antifascisti.
O quella tra gli esuli e i cosiddetti “rimasti”, gli italiani che nel drammatico momento delle scelte preferirono non abbandonare la loro terra. I primi, al dolore immenso di aver perduto tutto aggiunsero quello di essere accolti spesso con sospetto, se non ostilità, ma il destino di emarginazione toccò anche a quanti decisero di rimanere nella ex Jugoslavia. Stranieri in patria gli uni e gli altri, da una parte e dall’altra della frontiera. Alla diffidenza iniziale, tra le comunità degli esuli e quelle degli italiani oltre confine è subentrato un dialogo proficuo, alimentato dal contesto europeo, che ha contribuito a mantenere vivo il rapporto con quelle terre meravigliose, dove un barlume di italianità permane grazie alla salvaguardia di chi è rimasto. Quell’italianità testimoniata da secoli di storia e di cultura. Da Dante, che nel canto IX dell’Inferno ricorda la città istriana nota per la sua arena, che un tempo si chiamava Pietas Julia: “Sì com’a Pola, presso del Carnaro/ ch’Italia chiude e suoi termini bagna“».
Samuel Scavazzin
Segretario generale della Cisl Padova Rovigo