Sconfessando le grida d’allarme di giuristi troppo inclini alla complicazione delle cose, per non dire dei filosofi, una recente serie di pronunce delle supreme magistrature, costituzionali e amministrative, esclude la fondatezza dei dubbi di legittimità sollevati sulle misure per il contenimento della pandemia.
Sono quattro, in particolare, i punti-chiave:
- la limitazione delle libertà costituzionali,
- i poteri delle regioni,
- l’obbligo vaccinale per il personale sanitario,
- l’obbligo di green pass per gli insegnanti.
Iniziando dal primo punto, la sentenza n. 198 del 2021 della Corte costituzionale esclude l’incostituzionalità del meccanismo di limitazione delle libertà basato sui Dpcm. Alla base di tale meccanismo è il decreto-legge n. 19 del 2020, che prevede un elenco tassativo di misure limitative astrattamente assumibili e rinvia al presidente del Consiglio la scelta di quali concretamente assumere, per periodi di tempo predeterminati, sulla base dell’andamento della pandemia.
Non è dunque vero, sancisce la Consulta, che la limitazione delle libertà costituzionali sia stata decisa tramite Dpcm, ma con un atto equiparato alla legge – in conformità con quanto richiesto dalla riserva di legge prevista dalla Costituzione – la cui applicazione concreta viene poi, di volta in volta, modulata tramite Dpcm (atti amministrativi a contenuto normativo, subordinati alla fonte legislativa).
Collegata a tale pronuncia è la precedente sentenza n. 37 del 2021 della Corte costituzionale, che riconduce il contenimento della pandemia alla materia della profilassi internazionale, di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, co. 2, lett. q, Cost.). Ciò vale a escludere ogni potere regionale di aggravamento o alleviamento delle misure decise dallo Stato, salvo autorizzazione dello Stato stesso per fronteggiare, in via provvisoria, eventuali peggioramenti sanitari.
In questa stessa ottica, i giudici amministrativi non hanno esitato ad annullare diverse ordinanze regionali contrastanti con la legislazione statale. Avrebbe, peraltro, potuto provvedere direttamente lo Stato, se solo il governo avesse avuto il coraggio politico di ricorrere ai poteri sostitutivi che l’art. 120, co. 2, Cost. gli riconosce, tra l’altro, a tutela dell’incolumità e della sicurezza pubblica.
La giustizia amministrativa si è altresì pronunciata sugli atti delle Asl del Friuli-Venezia Giulia per indurre il personale sanitario a sottoporsi all’obbligo vaccinale sancito dal decreto-legge n. 44 del 2021. Lo ha fatto con la sentenza n. 7045 del 2021 del Consiglio di Stato, in cui non si dubita della compatibilità dell’obbligo vaccinale con la Costituzione e, di conseguenza, si esclude l’illegittimità degli atti amministrativi impugnati.
Molto opportuno è il passaggio in cui si legge che l’obbligo vaccinale tutela, allo stesso tempo, sia il personale sanitario, sia gli utenti, in tal modo legando il principio personalista al principio solidarista, come richiesto dall’art. 32, co. 2, Cost.
Successivamente, ancora il Consiglio di Stato (decreto n. 5950 del 2021) ha escluso, sia pure in sede cautelare, l’illegittimità del green pass denunciata da alcuni insegnanti perché lesivo della privacy, discriminatorio e contrastante con il diritto individuale alla salute.
Inconsistente la prima lamentela, perché i controlli si limitano ad accertare la validità del certificato verde; inconsistente la seconda, perché il green pass è ottenibile anche senza la vaccinazione; inconsistente la terza, perché la salute ha una prevalente dimensione collettiva, particolarmente evidente nel caso degli insegnanti su cui grava «una responsabilità specifica e rafforzata verso gli studenti».
Degno di nota è che, in tutti i casi, le motivazioni siano chiare, semplici, lineari. Il diritto ha una sua logica, che vale nei casi facili così come in quelli difficili.
Prevengo il prossimo. Non è affatto vero che il decreto legislativo n. 1 del 2018 vieti la proroga dello stato di emergenza oltre il 31 gennaio 2022: qualora, com’è purtroppo probabile, la pandemia dovesse persistere, sarà sufficiente intervenire, in deroga, tramite un atto pari equiparato (una legge o un atto avente forza di legge).