Alla Conferenza dei Sindaci
Al Presidente di Provincia
Alle Consigliere e ai Consiglieri provinciali
È di questi giorni, da parte di CGIL e UIL, la denuncia della situazione oramai insostenibile che quotidianamente viene vissuta, da pazienti ed operatori, presso il pronto soccorso di Rovigo. Situazione che è sfociata anche in offese e attacchi al personale stesso.
È invece di anni e decenni il lento e progressivo immiserimento del servizio sanitario sul territorio polesano. Oggi, con due anni di pandemia sulle spalle, il sistema paga gli errori di mancate programmazioni e di scelte fatte dalla Regione penalizzando i territori.
Con il pronto soccorso di Trecenta chiuso, tutto l’Alto Polesine deve spostarsi a Rovigo o in altra provincia, se non regione. Sempre a Rovigo sono costretti a rivolgersi gli abitanti della bassa padovana a causa della chiusura del pronto soccorso di Schiavonia.
Dopo due anni di covid, non si può più parlare di emergenza, ma di mancanze e di scelte sbagliate.
Come quella del numero di posti letto tagliati nei reparti, con la conseguenza, fra le altre, che i pazienti restano in astanteria, in una situazione di disagio che non è certo accettabile, per chi lavora come per i pazienti.
È una situazione, quella del pronto soccorso, sulla quale grava anche un servizio dei medici di base che è sempre meno strutturato e adeguato per dare risposte ad una popolazione che invecchia. In Veneto mancano quasi 500 medici di base e la soluzione non è certamente quella di alzare nuovamente l’asticella dei pazienti per medico, portandola da 1500 a 1800. Così si peggiora ulteriormente il servizio.
Un servizio fondamentale, dato che fa la differenza per la salute, la qualità della vita e la vita stessa.
Accanto a tutto questo si trovano in estrema difficoltà anche le strutture per anziani, soffocate da situazioni debitorie che la Regione continua ad ignorare, mentre si esternalizzano servizi, aumenta la scarsità di personale infermieristico, cresce il carico di lavoro su OSS e addetti. Come forze politiche e istituzioni del territorio è dovere chiedersi quanto può ancora reggere e quali impatti ci sono e ci saranno sulla qualità del servizio reso. Stiamo parlando nel maggiore dei casi di persone anziane che poca o nessuna possibilità hanno di rivendicare o segnalare. Per loro spetta quindi alle istituzioni e alle forze politiche avere occhi, voce e attenzione.
Lo stesso vale per la salute mentale, altro ambito nel quale l’amministrazione regionale ha fatto tagli, chiudendo negli ultimi anni diversi Servizi Ospedalieri di Diagnosi e Cura (in Polesine è stato chiuso quello di Adria), così come Day Hospital e centri diurni, sostituendoli con i cosiddetti ‘manicomietti’. Un andare indietro, un ritorno ad un modo vecchio e di emarginazione, piuttosto che di cura ed integrazione. Sono calate le prestazioni, mentre diminuisce il numero stesso degli operatori specializzati. Con il 2,25% della dotazione sanitaria destinata alla salute mentale, siamo addirittura sotto le media nazionale. In una situazione, quella della pandemia, che ha sottoposto a stress , isolamento e difficoltà milioni di persone, la cura, l’attenzione, i supporti alla salute mentale dovrebbero essere fra le priorità di chi amministra e decide dove dedicare le risorse.
Ci rivolgiamo quindi alle istituzioni locali perché riteniamo oramai indispensabile una presa di coscienza collettiva sulla gravità della situazione. Presa di coscienza che porti a farsi carico, in modo unitario, delle esigenze del nostro territorio, sostenendole presso la Regione. La qualità del servizio socio sanitario non deve avere nessun colore politico e di bandiera. Riguarda tutti e tutte.
Nel pensare al futuro della nostra terra non possiamo non avere a cuore il futuro di un servizio così importante e determinante per la qualità della vita. Pensando a come rendere attrattivo il Polesine affinché restino i nostri giovani, non possiamo ignorare che i servizi hanno un ruolo determinante e fra questi il socio sanitario in primis.
Tuteliamo il nostro territorio, tutelando la salute di chi vi abita.
Chiudiamo questo nostro appello chiedendo che anche in Veneto, così come è stato fatto nella vicina Emilia Romagna, sia data la possibilità di usufruire del servizio socio sanitario anche ai senza tetto, che oggi ne sono esclusi. La salute è un diritto per tutti.