Approfondimenti

Al San Bortolo, periferia povera di Rovigo, il riscatto sociale viene dal rugby.

RUGBY

Rovigo città in mischia

Rovigo, Palazzo Roncale

22 ottobre 2022 – 29 gennaio 2023

Manca meno di un mese all’apertura, in Palazzo Roncale, dell’attesa mostra “Rugby. Rovigo, città in mischia” e, nel crescere dell’attesa, fioriscono i ricordi.

Come quelli intorno al quartiere di San Bortolo (San Bortolomeo, nel calendario ufficiale), cui la mostra – curata da Ivan Malfatto, Willy Roversi e Antonio Liviero, da una idea di Sergio Campagnolo e promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo – riserverà un preciso approfondimento.

Il perché di questa scelta sta nella storia: il Rugby Rosso Blu ha la culla, o se vogliamo l’ambiente di crescita, il “cuore pulsante”, nel quartiere di San Bortolo. Questo, negli anni ’50, segnava la periferia sud est di Rovigo, dove la città cominciava a diventare campagna. I ragazzi cresciuti lì portano al rugby lo spirito battagliero e di riscatto sociale che lo caratterizza. Con il rugby si esce dalla marginalità diventando qualcuno in città, legando con i compagni di squadra della buona società del centro, girando l’Italia per giocare. Qui nascono o  vivono i Battaglini, Bettarello, Cecchetto, Biscuola, Visentin, e poi Busson, Quaglio, Vecchi, Casellato, Bordon, Bassani… Gente che ha fatto la storia rossoblù.

«”Quartiere popolare? No quartiere povero”, lo descrive Luciano Ravagnani in “Una città in mischia”. Lungo la strada che porta al cimitero ci sono lunghi edifici anonimi. Tante famiglie, tanti figli. Qui nascono le “bande” dei ragazzini del dopoguerra: per giocare, andare a nidi, a cogliere frutta, a fare danni. È il rugby alla fine a “togliere dalle strade”. A San Bortolo c’è anche un istituto per l’assistenza agli anziani. Un’ala ospita un orfanotrofio. Centinaia di ragazzi, molti hanno perso il padre in guerra, altri entrambi i genitori, qualcuno è trovatello. Il loro svago principale è lo sport, costa poco. Giocano su un campo dove non fa tempo a crescere un filo d’erba, a calcio e un po’ anche a rugby”.

“La “meglio gioventù” cittadina – ricorda Ravagnani nel suo saggio introduttivo alla mostra di Palazzo Roncale – era numericamente esigua, già impegnata in altre discipline dal calcio, all’atletica, al basket o scarsamente incline alla pratica sportiva, tanto da essere pubblicamente biasimata sui giornali locali. Eppure qualcosa covava tra le bande di adolescenti che bazzicavano il rione di San Bortolo, “cinque strade di case umide e slabbrate, formicolanti di gente, raggruppate intorno a una vecchia chiesa” come lo descrive Toni Cibotto in “Rovigo città di campagna”. Lì c’erano due campetti affollati di ragazzi esuberanti, avvezzi a passare in un baleno dal gioco a rudimentali mischie spontanee: lo spelacchiato tappeto erboso circondato di tigli adiacente al sagrato e, poco distante, nella cosiddetta San Bortolo Alta, la Corte delle Pignatte, un vivace cortile tra le case popolari che si affacciava sull’antico corso dell’Adigetto, dove avevano bottega diversi artigiani, un luogo di passaggio e di ritrovo oltre che di svago per i ragazzini”.

Per Toni Cibotto, più poetico, «lo spiazzo erboso davanti alla chiesa di San Bartolomeo, in dialetto San Bortolo» con il «suo rettangolo verde somigliava ad un giardino da fiaba, protetto da un’alta siepe di bosso e dall’ombra fronda dei tigli, che durante la fioritura spandevano un odore acuto, penetrante» scrive in “Veneto Segreto”. E continua: «Al posto del football qualcuno aveva suggerito di praticare il rugby, e la scoperta della palla ovale, delle placcate, delle mischie sul tappeto di molle trifoglio, delle mete in tuffo, era stata un’esperienza da “paradiso”. Specie per chi nella frettolosa conta era capitato al fianco di Maci Battaglini»

Condividi