Il 30 luglio scorso la nuova Giunta del Comune Capoluogo ha approvato un ulteriore e netto taglio al fondo per il Centro antiviolenza di 16 mila euro, che sommati agli 8mila già tagliati dal Commissario significa tagliare l’80% dell’intero fondo. Rimangono aleatorie le scelte di demandare il costo ad altri comuni mancando nei fatti un progetto di raccordo e di implementazione del servizio sul territorio
I Centri antiviolenza rappresentano la rete, l’intreccio tra popolazione, istituzioni, servizi e territorio. Da lungo tempo luoghi in cui le pratiche di accoglienza, ascolto, autoaiuto convivono con percorsi di rafforzamento, autonomia e autodeterminazione delle donne.
Il Centro Antiviolenza ha aiutato 123 donne nel 2023, di cui 66 di Rovigo e le denunce sono in continuo aumento segno che il fenomeno purtroppo non accenna a diminuire ma anche che un numero sempre maggiore di donne trova il coraggio di chiedere aiuto per uscire da una situazione di violenza
La natura stessa della relazione che le donne scelgono liberamente di instaurare con questi centri deve essere protetta e rispettata perché questo ha favorito negli anni l’emersione di un fenomeno che vorremmo scomparso e che invece resta ancora difficile da stimare e più che mai grave.
Per uscire dall’incastro della violenza le donne hanno bisogno di autonomia, di salute, di sicurezza determinata in primis dal lavoro, stabile di qualità, sicuro, hanno bisogno che venga perpetuata, garantita e sostenuta la cultura del valore e del rispetto, nelle scuole, nelle famiglie, nel territorio. C’è bisogno di prevenzione, di formazione di sensibilizzazione. E l’istituzione, la pubblica amministrazione non può esimersi da tutto ciò tagliando addirittura i già miseri fondi esistenti e delegando il proprio impegno a risorse economiche improbabili e non meglio identificate.
È vergognoso anche solo pensare di non finanziare i centri antiviolenza e non aumentare la disponibilità di posti in casa rifugio per donne che hanno avuto il coraggio di denunciare, donne per le quali i meccanismi di protezioni devono essere efficaci, sicuri e veloci.
Tagliare i finanziamenti ai Centri Antiviolenza è togliere voce, è escludere la possibilità di creare un piano di educazione o rieducazione per scardinare stereotipi, norme comportamentali e ruoli di genere che tramandano e giustificano la violenza.
Si tratta di un evidente disallineamento da parte dell’Istituzione Pubblica rispetto alle politiche contrattuali nei luoghi di lavoro in cui si stanno implementando azioni finalizzate alla prevenzione della violenza di genere e delle molestie sui luoghi di lavoro e con la previsione di forme supporto alle vittime con congedi specifici, oltre alla necessaria individuazione di percorsi di denuncia che proteggano le persone e consentano l’emersione e la rimozione dei fenomeni.
Le dichiarazioni di alcune esponenti della maggioranza apparse oggi sui giornali in cui si ribadisce l’importanza data a questo tema e l’impegno dell’amministrazione a ripristinare e rafforzare i fondi per il Centro antiviolenza, senza chiarire con quali tempistiche e l’entità delle risorse investite, appaiono contrastanti con la decisione di tagliare il fondo appena presa, gli equilibri di bilancio si potevano forse salvaguardare in altro modo senza tagliare e togliere continuità ad un servizio secondo noi essenziale.