INTERVENTO
di Samuel Scavazzin*
«Hannah Arendt ha scritto che “Non si può ricordare~qualche cosa
a cui non si è pensato e di cui non si è parlato con se stessi”.
Questa frase racchiude il significato del Giorno della Memoria:
prendiamoci un momento per riflettere non solo sul nostro passato, ma
anche su un presente che si profila denso di inquietanti
interrogativi e su come immaginiamo un futuro migliore. Ogni anno,
questa ricorrenza internazionale ci conferma che ripensare alla
Shoah, alle sue cause e alle sue conseguenze non è un mero esercizio
commemorativo, ma un atto di civiltà, sempre attuale. Ed è un
omaggio alla fatica di quanti, dal quel 27 gennaio del ’45, quando
le truppe dell’Armata rossa entrarono ad Auschwitz, hanno voluto
testimoniare un orrore tale da non poter essere nemmeno descritto. Ma
lo hanno tramandato come monito per tutta l’umanità.
L’importanza di testimoniare è stata dimostrata recentemente dalle
manifestazioni di intolleranza nei confronti delle misure per
limitare i contagi. Quanti si sono paragonati ai prigionieri dei
campi di sterminio e quindi alle vittime della Shoah hanno soltanto
confermato di non avere minimamente compreso le dimensioni della
pagina di storia alla quale si sono riferiti. La storia può essere
maestra di vita solo se siamo disposti a imparare, cogliendone la
complessità. Del suo insegnamento c’è particolare bisogno in
momenti incerti come quelli che stiamo vivendo, con un Paese tutto da
ricostruire, sacche di emarginazione che si stanno allargando, gravi
episodi di violenza sempre più frequenti. Parlando della Shoah,
Claudio Magris ha ricordato che la Memoria è “uno dei più grandi
valori trasmessi dalla civiltà ebraica. Essa non è il passato,
bensì l’eterno presente di tutto ciò che ha senso e valore:
l’amore, la preghiera, l’amicizia, la sofferenza, la felicità”.
Questa civiltà è parte integrante della storia delle nostre
comunità, fin dai primi insediamenti del XII secolo. Una presenza
significativa per lo sviluppo politico e sociale del territorio,
incentivata anche dagli studenti, attirati a Padova dall’unica
Università italiana ed europea che accettava studenti
indipendentemente dal loro credo religioso. Pensiamo al deputato
Leone Wollemborg, economista tra i fondatori della prima Cassa rurale
italiana tra Otto e Novecento, o all’importanza per
l’emancipazione femminile della Filanda di Salzano, uno degli
insediamenti produttivi tecnologicamente più avanzati per l’epoca,
fondata nel 1870 dal senatore padovano Leone Romanin Jacur, o
all’ebreo rodigino Giacomo Levi Civita, sindaco di Padova tra il
1904 e il 1910, a cui si deve anche l’acquisizione da parte del
Comune della Cappella degli Scrovegni. Una lunga storia di
integrazione proficua, che andrebbe trasmessa come messaggio anche
agli studenti. Perché la conoscenza è il migliore antidoto contro
tutti i pregiudizi».
*Segretario generale
della Cisl Padova Rovigo